Giuseppe Martucci (1990)
“Sinfonia n 9 – Per a Silvia” (tecnica mista cm 200×200)(82)
“L’Equilibrio in divenire in Angelo de Francisco” di Giuseppe Martucci (1990)
Non è pensabile che una pittura-pensiero possa essere penetrata nella sua novità di messaggio dall’essenzialità critica di una sola lettura, ma iniziare la sua interpretazione come mutevole premessa di approfondimento sulla percezione umana del creativo, è da ritenersi possibile. In conclusione di massima è poi da sostenere che un pittore è pittore per le simbologie, le campiture che inscena di colore dipingendo, ma diventa artista solo quando la sua iniziativa creativa sensibilizza un linguaggio capace di comunicare sulle lavagne esterne del mondo visivo le delicate e profonde tensioni dell’animo. L’indefinito universo dello spirito scrupolosamente creativo, nel quale si colloca per efficacia di domanda l’operato artistico di Angelo de Francisco.
Una critica manifestazione pittorica che, stando alle sue premesse concettuali, indirizza l’interesse della ricerca tra l’attualità sociale ed il desiderio avvenieristico. E, nella sua accezione di peculiare dialettica artistica, ipotizza che il divenire umano è un mutevole sospeso all’infinito.
Una pittura di principio per i suoi motivi ideativi e matrici formali di rapporti spazio-pensiero e simbolo-emozione. Una posizione d’intervento che si pone non certo alla ricerca speculativa di una relazione di strutture geometriche, ma di un rapporto tra le strutture ed il divenire della conoscenza. Non dunque un’architettura del godimento, ma un’intuizione di prolungamento all’infinito dello spazio culturale. Una basilare posizione dell’artista che va specificata nel suo stagliato teorico per comprendere l’aspetto della visuale pittorica defrancischiana.
Un concetto creativo che, se pur si annovera come indicazione di luogo mentale con un Mondrian o un Klee, si differenzia dalla radice alla conclusione ultimale nel simbolico assunto di ricerca che attualmente impegna l’artista. Mentre, come rivisitazione di percorso alla tavolozza degli Anni ’70, alle tele violentemente bruciacchiate come “Zatar-Nagomia i morti con noi creano” 1976, è dimostrabile che de Francisco può essere posto in sintonia con un Burri. Oppure con un Dalì nel dipinto “Porci e Padroni”, pure del 1976.
Poi, il pittore cresce a dismisura neI suo primario interrogativo e l’approfondimento della sperimentazione teorica si presenta a spediti passi e tutta immersa nella penetrazione propositiva mente-spazio: quali valori e quale verità. E dal laboratorio dell’artista si programma e sortisce una sequenza dimostrativa di pittura-pensiero che prova i suoi momenti di maggiore elaborazione concettuale come nei dipinti “Sinfonia n. 9: per a Silvia” 1981, smalto su legno, cm. 200×200, “Cercando lo spazio” 1982, “Verticalità” 1984, “Spaccato” 1985, “Immagine di un uomo” 1988 ed altri non meno significativi. Un repertorio pittorico svelatore di sistema che mette a punto in de Francisco la dimostrazione d’una moderna propensione matematica.
Una matematica, è bene precisare, che non si rivolge ai numeri, ma alla tendenza fortemente sperimentale che presenta l’enunciato assiomatico della filologia teorica in crescente rigore d’esercizio semplificativo. La culturale catarsi che evidenzia la sua iterazione poetica in nidose grafie che alimentano i principi genetico-umani o, nei balzi intuitivi d’informali campiture, che inventa l’emozione della novità creativa e propone l’ipotesi dell’infinito razionalizzato alla conoscenza ipotetica. La dimensione del bilico sperimentale in cui il pensiero critico indagante si pone per alimentare la causa in divenire dell’equilibrio materia-idea.
Una relazione nella quale de Francisco s’interroga, riflette, sperimenta, capta, conclude un essenziale postulato di ricerca, di carica comunicativa priva di abnorme speculatività. Infatti sostiene l’artista in “Disintegrazione II°- Metamorfosi I°” gennaio-dicembre 1981: ” … Non cerco nessuna dimostrazione teoretica! Ho bisogno solo di esprimere lo Spazio Verso il Positivo e Verso il Negativo-Orizzontale e Verticale; e in questa dilatazione porre l’uomo e la sua storia”.

Un modo di sentire e d’intuire che nell’ animato del fermento artistico-creativo, nel suo molteplice divenire si pone per convergenza di finalità con un Goethe, quando, a riguardo della creatività artistica, asserisce: ” … Il compito più colto di ogni arte è quello di creare attraverso l’apparenza sino al punto in cui, alla fine, diventa soltanto semplice realtà”. Con le tavole pittoriche della sperimentazione de Francisco punta a raggiungere l’equilibrio storico tra l’uomo, la sua organizzazione sociale e la natura. E lo ritiene fidando sui mutamenti della continuità evolutiva delle leggi cosmiche da cui origina e si qualifica cognitivamente sul piano del linguaggio umano la creatività artistica. Il pittore si domanda con un convincimento leonardesco nello stabilire e comprendere l’ampiezza psicologica dell’uomo in relazione all’ambiente in cui vive. Lo fa senza risparmiarsi di collegare la sua tesi di ricerca con i principi generali della cosmogonia, affinché l’equilibrio creativo stabilisca l’identità “oggettiva” della vera realtà superiore, quell’efficace valore della libertà che equivale alla conoscenza.
Angelo de Francisco è alla ricerca della grandezza della vita, ossia dell’incontro tra allegria e dolore, tra inconscio e coscienza, tra smarrimento e l’unità poetica del libero pensiero che mira a vestire l’infinito di primavera nella spiegazione del mondo. Tanto che, realtà o illusione che sia, di provabile, nella pittura defrancischiana, sussiste una premessa di presupposto teorico che traccia il suo percorso mirante a penetrare con l’energia della memoria artistica la grandezza dell’universo. Una finalità a cui Albert Einstein ricorda: ” … Tutto ciò che è grande ed è nobile, creazione artistica o importante risultato scientifico, è opera della personalità solitaria”... Ebbene Angelo de Francisco è un artista autenticamente solitario. È quella personalità consapevole che non mira ad occupare la cattedra universitaria e tantomeno di salire sui podi dei proclami maniacali. Egli possiede l’energia e l’argomento del creativo, è pervaso da una filologia discorsistica che sa proporre con abituale serenità un suo ben definito quesito teorico nella dialettica della manifestazione artistica moderna. Un quesito con cui la critica interessata e degli amatori cultuali possono domandarsi per scoprire un pizzico di nuovo sulla loro già tanta acquisita conoscenza. Un concetto che si dirama nel materialismo dialettico delle forme piane del legno dove la sintesi ragionata del tracciato ideativo modella l’elaborato del principio che fa riferimento alla poetica della genesi umana, si manifesta negli equilibri di materia-linea e si confronta negli spazi concavi-convessi delle superfici allusive.
Una poetica che si rinnova nel suo repertorio materico, culturale, di pensiero e di dolore. Si struttura formalmente distaccata dai simmetrismi della convenienza e si colora lontano dalle bravure mestieranti, ma propone il suo assunto materia-idea nei rispecchi degli staccati d ‘ombre nerochiaro, nel cenerino-chiaro, nel verde-cenerino, nell’arancione-paglia o negli stazzi d’azzurro che si accendono scintillanti come lontani fari di memoria tra le dune arse di un deserto immaginario. Un deserto dai piani ampi e profondi del dipinto, da cui solo e in raccoglimento di se stesso, l’uomo meditativo staziona la sua domanda o percorre il suo immaginario spazio-memoria.
Una manifestazione che si colloca dall’autentico all’utopico, appunto per scoprire la continuità dell’equilibrio umano nel fermento della creatività artistica. La comunicazione sperimentale in cui de Francisco prova la novità della sua natura umana esistenziale, immersa nel compendio creativo dell’avanguardia che coinvolge per afflato poetico l’odierno artista. E gli equilibri delle linee sono i piedi con cui de Francisco percorre l’atemporale viaggio sperimentale nello spazio dell’infinito divenire del mutevole mondo creativo.
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