Valentina Gentile (2008)
“Parlando” (2001)
“Alla ricerca delle radici di Angelo de Francisco”
Oggi il mondo delle immagini è diventato patrimonio integrante del nostro background culturale, quelle immagini che sempre più spesso vengono assurte a simbolo ed icona da imitare e a cui far riferimento. Continuamente ci attraggono, ci bombardano, piombano su di noi in maniera a volte aggressiva, irruenta, violenta, molte altre in modo innocuo e remissivo. Sono la rappresentazione della nostra società come un tempo erano la rappresentazione delle civiltà passate, hanno sempre rappresentato ed avuto un ruolo comunicativo ed espressivo, non solo in ambito artistico, cui viene naturale associarle, ma in ogni settore. Oggi la tecnologia permette una loro riproduciblità infinita, ha espanso i loro confini, ha permesso anche agli artisti di prendere in prestito i suoi strumenti ed utilizzarli. “L’arte si concretizza in immagini e le immagini sono significanti di qualcosa che sta sotto-dietro-dentro-fuori dall’io”; “l’artista si identifica con loro” (A.de Francisco).

(Stampa lightjet su carta Kodak Endura montata sotto plexiglass) (Edizione unica di 3)
Parlare dell’arte di Angelo De Francisco è come parlare della storia dell’arte nel suo complesso, o perlomeno di quella più recente, di quella appartenente ai nostri giorni: è ormai risaputo, quanto piuttosto evidente, infatti, come l’utilizzo di mezzi tecnologici, in particolare della tecnologia digitale, sia prassi sempre più ricorrente nell’arte contemporanea. Il fenomeno appare ineluttabile se consideriamo l’arte come riflesso ed espressione del contesto storico, sociale e culturale in cui l’artista vive, opera e comunica il suo modo di percepire ciò che lo circonda. Nel secolo della tecnologia e della scienza, come spesso è oggi classificata la nostra società, anche l’arte si è ritagliata nuovi spazi e nuovi contesti: se da un lato, infatti, alcuni artisti continuano a seguire i canoni della cultura figurativa tradizionale portando avanti un linguaggio già conosciuto e consolidato, dall’altro molti altri mettono in discussione le esperienze precedenti. abbandonando pennelli, tele e cavalletti, per lasciar spazio a nuovi mezzi e strumenti determinando quel filo conduttore, oggi costante, tra il mondo della tecnologia e quello dell’arte, atteggiamento non del tutto nuovo nei vari contesti artistici che si susseguirono nel corso della storia. L’arte contemporanea dunque appare oggi come un grande contenitore in cui confluiscono diversi ed innumerevoli modi di “fare arte”, dove ciò che conta non è tanto la bravura e la dimestichezza con gli antichi strumenti del mestiere, ma l’intuizione e la conseguente concretizzazione dell’idea che spesso sorprende, stupisce, sconvolge, crea delle reazioni, siano esse positive o negative non importa.

(foto stampata su carta di cotone Inkjet Epson Fine montata sotto plexiglass) Tiratura : Edizione unica di 3.
Ed è in questo contesto che Angelo de Francisco opera, un contesto in cui la capacità dell’artista si espleta nel comunicare un messaggio, esprimere delle emozioni non solo semplicemente conoscendo i mezzi digitali di cui dispone, ma riuscendo ad utilizzarli, applicarli e farli interagire tra loro con la propria tèchne di cui parlavano gli antichi greci e che oggi torna alla ribalta collimandosi con l’abilità ad utilizzare procedure tecniche.

(foto stampata su carta di cotone Inkjet Epson Fine montata sotto plexiglass) Tiratura : Edizione unica di 3.
È un approccio alla realtà da parte dell’artista del tutto nuovo, come nuovi sono gli strumenti, il monitor, lo scanner, il mouse e la carta da stampa, al di là dei quali però tutto rimane invariato: il suo ruolo all’interno della società legato essenzialmente ad un intento comunicativo, il voler trasmettere sensazioni ed emozioni attraverso delle immagini. Angelo de Francisco aderisce e mostra un atteggiamento di sensibilità nei confronti di questo nuovo modo di intendere l’arte, individuando nella rielaborazione della fotografia digitale, un mezzo espressivo, inedito fino ad ora nel suo modus operandi, attraverso il quale diffondere e far conoscere la propria arte. Anche se apparentemente nascosto tra le pieghe della tèchne, che ormai con la sua pervasività quotidiana ha un suo potere di fascinazione che balza fuori dagli schermi televisivi, dai cartelloni pubblicitari, dalle pagine delle riviste, de Francisco padroneggia virtuosisticamente il contenuto oltre le immagini: di fronte alle sue opere non bisogna fermarsi alla superficie, ma sviscerare il contenuto profondo, andare oltre quella “pelle” e cogliere il significato intrinseco racchiuso in ognuna di loro. Ogni immagine contiene uno stato d’animo, ogni immagine “rende concreti ed intellegibili pensieri ed emozioni in altro modo astratti. La tecnologia è solo la superficie” (A. de Francisco).
Uno sguardo sulla storia dell’arte
La volontà degli artisti di rivolgersi a mezzi espressivi nuovi ed innovativi per la realizzazione delle proprie opere, non è invenzione esclusiva dei nostri giorni: focalizzando infatti l’attenzione, attraverso un breve excursus, su alcuni episodi della storia dell’arte, ci si rende subito conto che, già in passato, alcuni tra i grandi artisti si erano avvalsi dell’utilizzo di mezzi tecnici. Esempio tra i tanti, è l’esperienza di Michelangelo Merisi, detto Caravaggio che ricorse, durante la sua attività artistica, oltre all’uso dello specchio concavo, anche a quello della camera oscura. Pratica inedita e rivoluzionaria, destò gran disprezzo da parte di un artista vissuto successivamente, come testimonia la celeberrima frase dell’accademico Poussin secondo il quale Caravaggio era nato per distruggere la pittura. L’accademismo dell’artista legato ai rigidi canoni estetici della pittura classica contrastava con il nuovo atteggiamento e il linguaggio artistico di cui il pittore lombardo si era avvalso.
D’altronde Caravaggio non fu mai totalmente apprezzato dai suoi contemporanei, tanto che spesso le sue opere furono ritenute prive di decoro. Il concetto di “decoro” dell’arte, sinonimo di moralità e di decenza, è stato, nel corso della storia, tema molto dibattuto spesso legato alla scissione tra il bello ed il brutto, tra l’arte e la non-arte, ma soprattutto determinato dall’atteggiamento di ritrosia da parte dei fruitori dell’arte nei confronti di immagini considerate inadeguate alla funzione per la quale erano state create; si pensi, ad esempio, ai nudi della Cappella Sistina affrescata da Michelangelo che furono “coperti” dopo la sua morte in ossequio ai dettami della Chiesa post-tridentina. Volgendo lo sguardo sull’arte contemporanea e sulle odierne espressioni artistiche, che sempre più spesso propinano immagini e contenuti all’apparenza indecorosi, ci si chiede allora se l’arte deve rispondere a principi e valori stabiliti, deve trasmettere contenuti etici, deve, in una parola, essere morale. In realtà il discorso è molto controverso, ma a priori bisogna considerare il fatto che l’artista sia un esteta ed in quanto tale, prescinda dalla morale. E’ proprio questo l’approccio con il quale ci si accosta alla serie di foto di Angelo De Francisco, La città erotica, dove l’apparente scollamento tra la morale della società e quella dell’artista, viene superato, travalicato in virtù del fine superiore con il quale egli ha condotto le sue decisioni estetiche ed interiori. Non può esistere dunque conflitto tra estetica in sé e morale in sé. Al tempo di Caravaggio, però, come è facile immaginare, anche i piedi nudi ritratti fino alla caviglia, come nella Morte della Vergine e nella Madonna dei pellegrini, potevano destare scandalo. Si ricordi, ancora, l’esperienza di altri artisti, Antonio Canal detto il Canaletto e Bernardo Bellotto, esponenti di quella corrente nota come vedutismo veneziano ed anch’essi precursori nella sperimentazione e dell’utilizzo di strumenti “tecnologici” in campo pittorico.

cm 180 x 120,82 (Stampa lightjet su carta Kodak Endura montata sotto plexiglass) (Edizione unica di 3)
Apparentemente una semplice scatola con un foro su un lato provvisto di lente ed all’interno, posizionato in obliquo, uno specchio: si tratta della camera ottica, strumento molto apprezzato ed utilizzato dai vedutisti, come ormai molti studiosi tendono a confermare, della quale gli artisti si servivano per rappresentare una pittura maggiormente aderente al reale. I raggi di luce fatti passare attraverso il foro, infatti, permettevano di proiettare un’immagine esterna sulla superficie opposta, solitamente un vetro smerigliato, sul quale adagiare il foglio per eseguire il ricalco; questo procedimento costituiva una fase preparatoria dell’opera, un appunto, uno schizzo, uno scarabocchio come lo definiva Canaletto, sul quale intervenire, visto che ’immagine compariva capovolta e sfocata. La pratica attuata da questi artisti prospetta dunque una sorta di processo fotografico ante litteram, reso possibile dalla combinazione di strumenti, oggi di facile reperibilità, come una lente, uno specchio concavo, una scatola o una stanza buia, che prende avvio sul finire del XVI secolo per poi concretizzarsi materialmente, con la stampa delle immagini, nell’Ottocento. In sincronia con il tempo in cui vive, de Francisco domina lo strumento tecnologico in questo caso il digitale, e, superando il rischio di omologazione spesso connaturato all’utilizzo della tecnologia, conferisce al proprio lavoro un contenuto assolutamente personale e soggettivo, così come Canaletto soleva perfezionare i suoi scarabocchi. Gli esempi sul rapporto ricorrente tra arte e scienza potrebbero seguitare all’infinito; citiamo ancora il nome di un altro artista, questa volta senza discostarci molto dalla nostra realtà, Pablo Picasso. Molti sono gli intrecci tra la fotografia e la sua attività artistica tanto che spesso si ricorda la sua frase: “Ho scoperto la fotografia. Posso uccidermi. Non ho più niente da imparare”. Alla morte dell’artista, infatti, è stato scoperto un enorme patrimonio fotografico realizzato proprio da Picasso, che, com’è noto, ebbe spesso rapporti di amicizia con diversi fotografi, come ad esempio André Villers, con il quale era solito realizzare esperimenti fotografici e montaggi. La fotografia per Picasso, oltre ad aver costituito un modo per interpretare la pittura soprattutto della sua fase cubista, ha rappresentato un mezzo nuovo da tagliare, incollare, sovrapporre e mescolare ad altri materiali. Nelle opere di de Francisco, in un certo senso, ci troviamo di fronte alla stessa tecnica affrontata però con strumenti diversi:senza l’ausilio di forbici e colla, le serie delle Città ritagliate e della Città oltre l’immagine appaiono come un “collage digitale” dove le foto degli scorci della metropoli si smembrano e si assemblano come la trama e l’ordito del tessuto, le immagini prese in prestito dal mondo della moda e della pubblicità vengono riproposte in nuovi contesti e nuove ambientazioni,in una ricomposizione simbolica della realtà.

Stampa lightjet su carta Kodak Endura montata sotto plexiglass
È la volontà dell’artista di liberarsi e di evadere dalle sbarre della quotidianità. Come allora, anche oggi la fotografia si presta ad una strana manipolazione, rappresentò nello scorso secolo per Man Ray, per i dadaisti, per i surrealisti, e oggi rappresenta per de Francisco, un elemento trasformabile, un modo per evadere dagli schemi ed abbandonarsi, seppur apparentemente, al caso, all’imprevisto, alla coincidenza. Spesso il pittore-fotografo statunitense si dedicò alla sperimentazione di nuovi procedimenti nel campo delle arti visive come nel caso dei rayogrammes, ottenuti imprimendo gli objets trouvés direttamente sulla carta fotografica, senza dunque l’utilizzo della macchina: cercando di scrutare sempre oltre l’apparenza materiale degli oggetti, affrontò la realizzazione delle sue opere con elaborazioni concettuali e d’espressione intrise molto spesso di paure, angosce, denunce. Lo stesso stato d’animo di drammaticità si rivela anche nella Suonata per Saddam che De Francisco propone in una serie di foto dedicate ai tristi eventi dei nostri giorni: sono immagini che testimoniano una realtà pervasa da violenza e crudeltà, che trasmettono quella tragicità insita a fatti come quelli ricordati seppur con una velatura di ambiguità resa dalla rielaborazione fotografica. Così come Mimmo Rotella ricomponeva i suoi manifesti lacerati, de Francisco ricompone, percorrendo dei processi mentali ben definiti, i frammenti di immagini conferendo loro un significato poi racchiuso nella forma percepibile. Mettendo da parte estetica e forma, l’artista “ricerca nell’immagine e dentro l’immagine la continuità e la radice del significato di esistere” (A. de Francisco).



