Antonino De Bono (1983)
“Cercando lo spazio” (tecnica mista su legno cm 250×200) (82)
“L’Uomo librato nello spazio alla ricerca di se stesso” di Antonino De Bono (Arte più Arte aprile 1983)
Una intensità psicologica coinvolge la ricerca estetica di Angelo de Francisco che sta veramente acquisendo una sua risaltante partecipazione artistica alla conoscenza dell’uomo come imperativo sociale
Le premesse di questa indagine vanno analizzate nei dipinti di alcuni anni fa allorché il pittore aveva messo l’accento sullo studio del linguaggio come distruzione dell’identità (costituzione ambigua) e la diffusione identica del reale. Da questa teoria massacrante dell’immagine, scaturiscono automi che si muovono su di uno scenario apocalittico.
Queste essenze metamorfiche recitavano a soggetto sui campi di battaglia, nelle vie cittadine, ovunque vi fosse in atto uno scontro collettivo, avevano il compito di rapportare la struttura del potere ad una oggettuale fuga dei valori della civiltà per denunciare una condizione di frustrazione, di ambiguità, di dialettica iniqua di autocoscienza che centrasse l’ermeneutica esistenziale.
Dal realismo espressionistico alla differenza comunicante, il passo fu breve. Angelo de Francisco trasse dalle bruciature segniche di Burri, il significato di intervento attivo sulla materia, voltando la sua denuncia come lacerazione dell’umanità. I “cretti” evidenziano le dicotomie dell’esistenza sociale, lo scioglimento frontale critico dell’ inautentico apparire della comunicazione, per denunciare invece – in luce storica – l’assoluta valutatività dell’invenzione conoscitiva scientifica per correggere le deviazioni della Libertà assoluta e le ingerenze del potere per reprimerla.
Da queste risoluzioni pittoriche nascono le vicissitudini vitalistiche nella formazione dell’immagine estetica: è il periodo di “i-o c-h-i lacerato nella storia “c-e-r-c-o”, reso con materiale plastico, tele di juta, frammenti di specchio. L’artista usa il collage, l’assemblage, le lacerazione e le bruciature: rivive la Pop-art ed il Dadà secondo una sua reinterpretazione e reinvenzione prettamente personale. Sotto un certo aspetto c’è in atto un barocchismo della figura e del segno, per rendere la sopraffazione in senso michelangiolesco, motivare una abnorme deformazione cutanea che rasenta la steatopigia, appunto per denunciare la violenza come simbolo di protoplasmiche belluinità mostruose.
Tutto un iter di tele coinvolgono l’aspetto parabellico e di allusione sociale: “Porci e Padroni”, “L’Idolo senza Amore”, “Gesù Cristo la Nazarena”, “L’albero”, “I morti con noi creano”, “Il Potere”, ecc… Ma Angelo de Francisco è andato oltre.
Nelle Pitto-sculture non si avvale più del dipinto come immagine statica, bloccata, ristretta in un continuo trompe-l’oeil della tela a due dimensioni . Abbinando la scultura, che non è più la lingua morta di Arturo Martini del 1945, l’opera d’arte acquista una sua intima vitalità, un movimento, una dinamica.
In questo senso “Verso la nascita” (agglomerato cm 120 x 120) è una struttura vibrante di accartocciature, di aculei aggettanti, di lamelle poliedriche, di slabbrature. Proiezioni che intendono uscire dall’irrealtà per raggiungere l’universale. È un modo per sortire dalla conchiglia, dalla forma accartocciata, dall’ alveo materno, verso il positivo.
Il fruitore modifica ed interviene nella scultura, aprendo i pannelli, ruotando i sostegni: visualizza gli uomini muscolosi, caravaggeschi, che incombono sulla scena in chiare e vellutate forme cromatiche. Ora fili cosmici tendono i loro lacci tra quadro e quadro, per affermare che non vi è più un’operazione estetica in atto ma un intervento metafisico guidante come emancipazione e teoria dell’emozione, dominio ed opposizione indeterminata. L’intersoggettività rapisce lo spettatore, che agendo gira la tavoletta modificando la realtà. E’ un’attenzione rivolta alla storia che può essere modificata con un gesto deoggettivante.
Questa ambivalenza continua suscita ammirazione per l’arte del de Francisco che sa escogitare una pitto-scultura concettuale che travalica il dato psicologico per trasformarsi in una vera operazione simbolica che va oltre la surrealtà. Nei due parametri “L’Assenza” ed “Il Giocoliere“, questo significato esistenziale filosofico di andare a cercare l’uomo, come Diogene di Senape che portò alle estreme conseguenze il principio del ritorno alla natura e dell’abolizione del superfluo, fa leva sulla inter-socialità sulla inter-culturalità alla riscoperta della vera essenza umana. Non è un ritorno al buon selvaggio di Jean Jacques Rousseau, ma al sentimento nell’arte come critica oggettiva e costruzione soggettiva.
Se nei precedenti periodi estetici Angelo de Francisco aveva operato una morte ontologica dell’essere, per denunciare la lotta, la guerra, la violenza, la distruzione, in un mondo orgiastico travolto dal progressivo dèpèrissement dell’essere, ora questa rinascita intende polarizzare l’attenzione del fruitore sulle poliedriche pitto-sculture per la rivalutazione dello spirito universale nella ricerca autentica dell’uomo, che non può essere – ben inteso – separato dalla condizione generale della società.
Compaiono ancora le estreme denunce, i duplici aspetti (“Assenza” e “il giocoliere”): ma la proiezione violenta e la conoscenza esistenziale, quasi irraggiungibile negli assi cartesiani, è più vicina e in comunicazione progressiva. Il “Nosce te ipsum“, sta diventando una realtà.
Angelo de Francisco proviene da studi umanistici è diplomato all’Accademia di Brera, ha al suo attivo diverse mostre, fra le ultime quelle della Galleria d’arte Anna Maura: si è classificato in premi e concorsi di valido impegno.
Su Catalogo









