AnnaMaura Malatesta (1982)
“Gessù Cristo la Nazzarena e le compagne puttane” (olio su tavola cm 60×100) (1977)
“Teato critico di AnnaMauro Malatesta” (1982) dal volume “La mia Galleria” edizione Galleria Annamaura
Scrissi a lungo su di lui, tanto a lungo da suscitare quasi, anche se amichevoli, le proteste degli altri giovani del nostro “Manifesto” sulla Ricerca…
“Non ci si può accostare alle tematiche del de Francisco senza tener conto della sua esigenza di creatività estetica, che non si disgiunge mai dalla sua produttività, a qualunque livello ed in qualsiasi momento egli si esprima… Il suo estetismo è prettamente umanistico e classico; infatti anche quando il giovane de Francisco vuole “rompere” gli schemi di una normale espressione d’Arte, per manifestare in opere d’urto, il suo bisogno di libertà, di autonomo creare, di svincolamento da certi valori scontati, di “frattura” con le natali catene del tradizionale e dello stantio, pur bruciacchiando ed accartocciando legni e plastiche, o drappeggiando tele di juta macchiate di rosso con collage di pezzi di specchio rotto, per “lacerare” fino in fondo il mondo che lo soffoca… bene, riesce a farlo con risultati estetici che non sono privi di un gusto plastico, che può esser piacevole anche a chi, su queste esperienze, nutre seri dubbi”.
Ho qui voluto riportare il mio pensiero in generale sulla sua Mostra ultima, ma, in questa sede, desidero parlare ampiamente di una sua opera in particolare; mi ero ripromessa questo, quando, di fronte ad una “Antologica” del de Francisco, il tempo dovette essere diviso fra tutte le opere e tematiche esposte … ed è giunto il momento di parlare di quella che, a mio parere, segna un traguardo notevole in una tematica tanto ostica: “Gesù Cristo, la nazzarena e le compagne puttane” … questo lo sconcertante titolo che egli ha imposto, provocatorio e polemico, ma altrettanto potente e valido, ”nella sua incredibile prospettiva in cui fonde e brilla tutta la sciagura della Crocefissione… al limite, non importa di chi … o perché… “, tale il tema svolto.
I colori sono indicativi ed indovinati e ben giocati con disinvoltura e senso artistico notevole per esaltare il tutto, tanto che non sarebbe possibile immaginarne altri… il dramma d’una tristezza disperata aleggia su tutto talmente intensamente che il dolore stesso è un urlo che riscatta il disprezzo…
C’è ovunque un assoluto equilibrio; tutto, nell’intenso dramma, è composto ed è ben resa questa compostezza, dalla disposizione felice e ben calibrata degli elementi che compongono l’opera. Il personaggio, uomo o donna non conta, direi meglio l’Umanità, sulla destra del quadro, è abbarbicata alla Croce con una scompostezza oscena, a testa in giù, col ventre pregno, i seni ridotti a simbolo quasi di “pianeti” o frutta offerte al carnefice … Ma, questa figura non è legata… notate, stringe fra le informi ginocchia contratte, l’apice della Croce stessa, ridotto ad enorme fallo in erezione…
Ecco perché non c’è, non appare il “carnefice” … balena il sospetto che questo “Essere informe”, questa Umanità inquinata e bollata dal peccato originale, questa Umanità che, carnefice di se stessa non ha più nulla di valido a cui aggrapparsi per la sua liberazione, in una sorta di sado-masochismo, non desideri affatto mutare la sua condizione di grande sofferente! Nell’immensa pianura sterminata, in cui la coloristica gioca con la materia usata da de Francisco (legno), il suo stupendo chiaro scuro, altre due figure crocefisse segnano la prospettiva … Ma, attenzione, queste crocefissioni differiscono dalla prima: le figure sono inchiodate alla Croce in maniera regolare, anche se il braccio inferiore della croce stessa è talmente corto che i piedi toccano quasi il terreno. È evidente che per il nostro Artista, anche ciò ha un significato ben preciso… sono crocifissioni in cui la consapevolezza e l’accettazione delle vittime giocano un ruolo terribile che va oltre al dramma divino e che fa rabbrividire! È l’Artista, con tutta la sua debolezza umana, col suo destino di uomo, che, creandosi un nuovo dramma, dignitoso e solenne a cui attinger coraggio, pensa di poter coinvolgersi e coinvolgerci, stimolarci, ad una fattiva introspezione salutare…
Quell’Umanità bambina che si allontana dalla scena, sulla sinistra, seguendo la punta della lancia del “soldato” che l’ha “arrestata” (e di cui s’intravvede un piede in movimento), è dunque il colpevole? È il cosiddetto “capro espiatorio”?
Questa paura della certezza m’attanaglia … è dunque, questo giovane, deciso pittore, a dirci quanto è feroce la necessità vitale del continuare la specie… quanto è crudele la vitale espansione dell’uomo in potenza?…
Ha preso il pretesto della morie di un Dio, per dipingere, dolorosamente, la sua immensa sfortuna d’esser solo un uomo… per attingere alla sua Arte espressiva, fermezza e coraggio alla sua limitazione umana, assai più angosciante: dover vivere.
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