A proposito della mia Pittura (1983)
“Arte più Arte” (1983)
“A proposito della mia Pittura : Riflessioni tra Lacerazioni, Metamorfosi e …” di Angelo de Francisco (1983)
Perché queste strutture sospese nello spazio, che significato hanno, cosa vogliono dimostrare?
Sono partito da un’analisi: Guardavo l’uomo nel suo atteggiamento più bestiale, violento e crudo, o meglio lo subivo; io stesso mi sentivo vittima, angosciato senza orizzonti positivi: reale era solo la violenza.
Uscire, mi dicevo, non fuggire da queste angosce: trovare, non per caso, ma guardando il Negativo stesso, cercare di vedere il suo opposto, il Positivo.
Raffigurare allora, era poter prendere conoscenza e meditare, andare sino in fondo a questa antinomia e porre in luce tutto ciò che avvertivo opprimermi.
Esisteva un problema centrale: lo avevo identificato nel sesso!
Che cosa è mi dicevo, perché lo raffiguravo in un modo così brutale e autoritario?
Ogni quadro era un contrasto tra libertà e soffocamento, tra repressione e punizione; ogni immagine giocava su realtà sempre opposte: maschio e femmina, vincitore e vinto; bene e male; ciò che volevo dire era l’impossibilità di una libera scelta senza la catarsi della morte in una società repressiva come la nostra impalcata sulle paure dell’uomo.
Se ci riflettiamo un poco sopra, ci accorgiamo che sesso è capacità espressiva di rapportare il nostro io agli altro io, e in questa capacità la gioia di riconoscersi vivi e in armonia con l’esistenza.
Eppure nei miei quadri non c’è armonia (non senso di gioia); ogni uomo fa fatica ad esprimerla, o non la estrinseca affatto; bramosamente la cerca ma qualcuno o qualcosa vi si oppone brutalmente sino a lacerarlo e dismembrarlo.
E l’uomo è li crocifisso e inchiodato, ma non arreso; trafitto e dilaniato, ma non morto, in agguato teso al riscatto.
È il periodo di opere come: “Autoritratto: emergere”; “U-O-M-I-N-I”; “Gesù Cristo la nazarena e le compagne puttane”; “L’Idolo senza Amore”, “Porci e Padroni”; “Il Potere”; “L’Albero”; “I-o c-h-i”; “Riprendiamoci la vita”; “Disintegrazione 1°”.
Ma qualcosa alla fine, nella violenza stessa raffigurata, s’incrina e… spacca, squarcia la superficie-storia, la disintegra-proietta nello spazio circostante, esplode. Rompere il dipinto è a questo punto cercare nel presente cosi angosciante ed assurdo, qualcosa che possa ridare speranza.
E il quadro “Porci i Padroni” è il primo istinto di questo mio forare la superficie per andare a cercare una via di uscita. Non fuga dalla realtà, ma desiderio di vedere se “dietro l’angolo” e al di là di ciò che appare, c’è un’altra realtà, un’altra possibilità di vita.
E la parete bianca che si intravede al di là dell’apertura di quel “buco”, è il secondo elemento di un’equazione che ci riporta al reale quotidiano e concreto: da qui, da questa realtà di ogni giorno, ora io posso partire per cambiare la mia vita e la storia.
Quadro-forato: (sta) alla parete = (come) immagine-dipinta: (sta) alla realtà.
Ma è con “Disintegrazione 1°” che il quadro e ciò che vi è raffigurato esplode, e realmente si spacca, come se nel suo interno un ordigno avesse deflagrato. Non resta allora che osservare alcuni di questi brandelli scagliati nello spazio circostante, “iceberg” solitari che in sé ripetono il loro ennesimo cruento motivo. Su uno solo di questi, un piccolo germe di “Amore”. Proprio da qui infatti, infinite corde si diramano per avviluppare i dispersi residui di un’esistenza lacerata, come a voler dire che, nonostante tutto ciò che è in atto, c’è ancora “in potenza” una speranza.
Da questo momento intuiscono la possibilità di una Metamorfosi!
Oltrepassata la prima superficie del quadro, appare il problema dello spazio.
Spazio è ciò che ci circonda, è il vuoto che ci sta attorno, è il buco non coperto dalla nostra materia !
Devo meditare intorno a questo primo concetto!
Al di là di quel buco, un’altra superficie, un’altra possibilità di intervenire, di vivere; c’è una materia nuova pronta a prendere ogni forma, ogni luce, ogni colore. E’ la possibilità ritrovata!
Mi sento sospeso come un Pianeta od un Sole, solo nell’Universo, senza punti di riferimento, microcosmo che a poco a poco consapevolizza la propria identità. Io, immagine-sospesa mi rapporto allo spettatore che mi gira tutt’attorno. E lo spettatore è il secondo elemento di questa mia relatività!
Ad un tratto mi scopro nullità di fronte all’immenso cosmo circostante e il perimetro del quadro si perde immerso nell’infinito.
E proprio a partire da questa intuizione pascaliana, avverto la possibilità di una profonda metamorfosi, nella quale l’io violento rapportato allo spazio vuoto, concepisce il proprio opposto. È il momento di opere come “Verso la nascita” e delle assi cartesiane come “L’Assenza” e il “Giocoliere” dove la consapevolezza di ciò che è venuto a mancare, e il sempre più allontanarsi dal punto di origine, lungo l’ascissa negativa, fa scaturire l’esigenza (anche da parte di chi guarda) di modificare il proprio distruttivo comportamento per qualcosa di più positivo.
Ho scoperto la possibilità di girare la tavoletta modificando l’immagine. Ora sono proprio nello spazio-infinito e ricomincio la mia ricerca di identificazione.

È il momento di opere come “Meditazione”, “Io e te insieme cercando, equilibri-equilibriati nello spazio alterato da ogni nostro movimento”, “Sinfonia 9a”; Per “A Silvia” “Ritratto di Uomo. Ritratto di Donna”, “Cercando lo spazio”, “Io con te cercherò”, “Il grande orizzonte”, nelle quali cerco di porre in rapporto, dapprima situazioni e momenti diversi, dove ogni immagine o personaggio, all’interno di sè cerca (confrontandosi con lo spazio in cui si perimetra) una propria entità, una propria maturazione;
poi la possibilità di uscire dall’io-singolo per incontrare e rapportarsi con il plurale, alla ricerca di un’unità logos.
Solo se mi muovo, (in questo caso intorno al quadro) posso scoprire la relatività di quell’assoluto che credevo dominarmi: assoluto falso dal momento che dietro di me e oltre di me, scorgo un altro assoluto-relativo. Assoluta era prima la “Violenza”, la “Morte”; assoluta perchè non intravvedeva vie d’uscita: ora riporto alla luce la relatività di quell’ assoluto.
Sempre più impellente è ora l’esigenza di trovare unità in questo duplice-molteplice aspetto dell’esistenza.
Se mi muovo, scopro che la vita è in cammino, avanza, si evolve, proprio perché cambio punti focali, modifico orizzonti.
E come la terra gira attorno al sole, (ed il sole a sua volta con il suo sistema ad un altro sistema, e l’altro sistema ad un’altro ancora e il tutto moltiplicato per l’infinito numero di sistemi…), io giro attorno al quadro sospeso e cerco di captare un’evoluzione, un andare in avanti, in profondità di sapere; (proprio come l’ogni giorno è possibilità nuova per nuovi ed ulteriori approfondimenti di conoscenza).
La conoscenza è data dall’accostamento di cose od immagini contraddittorie poste ognuna in una sua propria dimensione assoluta, ma che guardandosi o venendo a contatto fra loro, pongono in essere dapprima il bisogno di comprenderle e capirle, poi ne scoprono la loro intrinseca-assoluta e relativa essenza.
Ogni realtà ha un suo spazio, e in quello spazio una propria solitudine; ogni solitudine cerca un’altra solitudine; cercare è capire – sapere – abbracciare questo grande universo che sembra non avere orizzonti, perché ogni punto ed ogni linea, è un orizzonte a cui io tendo, e ogni orizzonte è fine-ed-inizio insieme.
Il problema è ora quello di trovare equilibrio tra finito-e-infinito, tra ciò che nasce e ciò che finisce, in ultima analisi tra la vita e la morte!
È il periodo delle opere più recenti quali ad esempio “La morte” dove, attraverso una tavoletta spezzata posta su una lunga diagonale, cerco di esprimere tutta la tragicità di questo evento umano e cosmico.
La morte è l’interruzione di qualche cosa che sta nascendo e costruendosi: un sole azzurro (era l’inizio del progetto del quadro) a cui avrebbe fatto seguito qualche altro elemento, non importa quale: tutto era possibile. D’un tratto, l’ “evento Morte”, (questo spezzarsi del quadro con il relativo perdersi dell’immagine) folgora questa realtà in divenire e la blocca, l’agghiaccia. La morte è lo spezzarsi di una linea che in teoria è infinita.
Ma perché ciò accade?
Quest’opera mi nasce proprio per darmi la possibilità di meditare e di trovare un valido significato a questo evento sempre così catartico.
Ma è nell’opera che segue “Dopo la morte-nasco” che trovo spiegazione all’“evento morte”.
Lo spezzarsi – il rompersi di quest’unità, non è fine-termine da cui non può nascere più nulla, bensì al contrario questo spezzarsi germina qualcosa come il suo opposto: l’inizio. E “inizio” infatti è la nuova Immagine che si ricompone (in quel sole schiacciato); e poi si leviga, si ristruttura per acquisire nuova forma e poi si proietta al di là di quella linea-orizzonte.
Due momenti, due sequenze, un modo per superare l’evento, per capire.
Ogni realtà spezzata non è più una realtà-spezzata, ma l’inizio di due-nuove possibilità di realtà.
Il Rompersi,- la Fine di qualcosa – o la Morte, da questo momento divengono realtà che si trasformano, che si modificano, realtà di divenire che superano il concetto di Fine-Morte!
Che dire ancora. Approfondire quanto detto lo farò in altra sede.
Sviluppo: non sono io che decido, ma la vita quotidiana, la Storia, che giorno dopo giorno mi propone cose nuove che io scarto o approfondisco.
Una conclusione non esiste, dal momento che è tutto in fase di trasformazione; una cosa è certa: la libertà assoluta che ne scaturisce è quasi, se non, follia; si tratta solo di imparare a controllarla e usarla – per crescere ed andare avanti, sempre di più in avanti, e verso… gli altri!












